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Posts Tagged ‘morte’

Il punto che viene toccato è antico, per questo fa male. E’ l’assenza.
Ho imparato a ripartire da un’assenza, considerare l’assenza come un dato oggettuale e quindi un punto di partenza. Non si può colmare, ma si può andare oltre. Move forward.
La vita non si esaurisce in un vuoto.
Il vuoto non la rappresenta, la vita va oltre.
Anzi, l’assenza è il punto focale per la rivoluzione e il ribaltamento del pensiero e dell’animo.

Ma ora desidero tanto che la mia vita si riempia, che riparta da un pieno, e non da un vuoto.
Non voglio diventare solo più esperta a superare le deprivazioni.
Questa è una settimana molto delicata.

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Altro titolo del post potrebbe essere “figlia di Demetra”. La madre morta per eccellenza. La figlia di Demetra era Core (Persefone)? Non mi ricordo più. Non ho mai studiato abbastanza.
“Bisogna lavorare su questa madre malata”. Parole sante. Ma tutta ‘sta voglia, non so se ce l’ho.
Dunque, esce fuori che l’immagine-tipo della mia coppia genitoriale interna è rappresentata perfettamente dall’episodio delle costole. Mio padre che non riesce a sorreggere mia madre inferma, cade lui per primo, io la tengo, mi rompo due costole (e me ne accorgo dopo 5 anni). Due genitori malati. O comunque non in grado di sorreggersi da soli. E alla fine è la figlia che si rompe le costole.
Ok, va bene, ricominciamo?
“Bisogna lavorare sul materno.” Dice la mia analista. Santa donna, certo che centra sempre il punto focale. Lavorare sulla mia immagine interna di maternità positiva. Non più madri mortifere succhia-sangue, ma madri che sostengono. Una coppia di genitori giovani, sani (oddio, per me manco eravamo sani, io e M.!). Che riesce a fare un figlio. E sostenerlo. E accompagnarlo.
Niente da fare, Cavarero, Muraro e tutte le altre che lo hanno detto, avevano ragione .
Prima dei figli bisogna far nascere le madri.

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Il problema, in giornate come questa, in periodi come questo (ma da quanto dura?) è l’effetto valanga.
Mi ci vuole così poco per trasformare la mia vita in un deserto! La morte del compagno di un’amica. Frustrazioni e impasse sul lavoro. Un figlio che non arriva. La famiglia complicata che complica. Tutto quello che rimandi di affrontare che incombe come una lastra di ghiaccio sopra una tettoia. Oddio, forse non è poi così poco.
Ma io so che non dipende dalle circostanze, è uno sguardo viziato. Ho lo sguardo desertificato, che desertifica. Non pregusto, non spero, non mi aspetto nulla di buono. Spero solo di evitare il peggio, ma non vedo il meglio.
Meno male che c’è il violino. Durante la lezione ho staccato un po’ la spina.
Ho voglia di vita succosa, di vita gioiosa, di quel sorriso interiore che ti viene quando la tua vita ti avvolge.
Ho voglia di quella vita che è come una bistecca sugosa, che poi ti scioglie in bocca, e butti giù un sorso di vino, e ti fai una risata. Ridere è una cosa che mi manca. Non è che non rida, è che non mi diverto.
Ma devo ricordarmi quello che ha detto Bruna: la mia vita non è un deserto, sono io che la desertifico con gli occhi. Non riesco a provare gratitudine per la mia vita, non riesco a sentirmi ricca di niente.
Telefilm come surrogati, pure friendfeed piuttosto che fare daimoku. Meno male che non tengo tequila in casa. Che in teoria avrei smesso di fumare. Fantasmi che cerco di far apparire perchè mi distraggano. Che casino. Tutto per ovviare alla mancanza di speranza. Non gioisco, non spero, mi porto sfiga da sola.
Quasi quasi mi rimetto a suonare il violino, mi sembra che funzioni. Almeno posso sperare di imbroccare almeno una nota.

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Sono bastate 3, forse 4 parole. Dette da lei. E il macigno che pesava e piegava la mia schiena si è trasformato in un sasso. Fastidioso, ma portabile. Quanto mi acchiappa, la mia analista! E quanto mi mancava. E che sollievo. Finalmente, riuscire a dare un senso al gomitolo di sentimenti e all’incastro dei pensieri.
E’ stato come tornare a casa, dopo una giornata pesante, togliersi le scarpe, mettersi qualcosa di comodo e caldo, bersi un tè con il gatto in grembo. La giornata di merda non si cancella, nè ci sono antidoti per la merda del giorno dopo, ma almeno, godersi il tè.
Questo è l’effetto di una seduta dopo due mesi passati a vagare biascicando. Ora ci vedremo il prossimo mese, invece che tra due. La questione in ballo è sufficientemente succosa da giustificare un piccolo crescendo. Almeno per un periodo.
E’ incredibile come spostare lo sguardo al centro del problema possa essere già di per sè un sollievo, quando non una mezza soluzione. Ritorniamo al centro, per favore.

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Non voglio dimenticare quello che è stato detto oggi.
Aldilà della relazione con papà, della difficoltà soggettive o concrete (e non solo frutto della mia incapacità di affrontarle), il fulcro della mia sofferenza attuale è l’immagine interna di una mamma malata. Con una figlia forte, che per reggerla si spezza anche la schiena (e si frattura 2 costole), ma con un marito che cade. E comunque lei è una mamma malata. e che, voglio dare un figlio ad una mamma malata sapendo già che poi non potrà curarlo a dovere?
Questo è veramente il succo della mia sofferenza degli ultimi mesi, soprattutto questo è alla radice della difficoltà di credere veramente al mio progetto di famiglia. Credere che sia possibile, che non sia solo l’anticamera di avvenimenti ancora più spaventosi.
Io forse non dubito della mia capacità di creare o “tenere” una mia famiglia futura. Io proprio penso che non ci sia altro che una mamma malata, che per tutta la vita ho sentito come instabile e sofferente, e che poi è morta, lasciandomi sola a reggere il suo peso. Questa è la solitudine che ho dentro.
E forse in questi mesi ho pensato che sforzarmi per risolvere la relazione difficile con papà potesse essere un antidoto alla mamma malata. Be’ mi sbagliavo. Non devo rafforzare la figlia, devo rafforzare la madre.
Le ho detto che ora ho un’altra famiglia, rispetto a quella di prima. L’assetto è cambiato, ci sono nuovi dis-equilibri, etc. etc.
Lei mi ha corretto: non è vero. La mia famiglia è sempre la stessa. Solo che ora la mamma malata ce l’ho dentro.
Non so se era preoccupazione o sollecitudine, ma sono contenta mi abbia proposto di vederci tra un mese e non fra due.
Le lacrime di sollievo che ho avuto, quando sono uscita. Finalmente capire e sentirmi capita, dopo questi mesi – e soprattutto le ultime settimane – di solitudine e silenzio, con la sofferenza quotidiana al solo pensare a famiglia & c., sentendomi sola e di non dover pesare su  M., e la mia incapacità a fornirmene un reale sostegno da sola.

Per forza, stavo sbagliando direzione.
Non è nella direzione “padre pesante e problematico”, ma in quella “madre malata e pure morta” che devo lavorare.

Bella scoperta, eh?

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Il desiderio/progetto di fare un figlio ha funzionato come detonatore. Lo sguardo sulle cose della mia vita è cambiato.
Non posso continuare a pensare che finchè non alleggerisco la mia vita dalle preoccupazioni che derivano dalla mia famiglia, allora non sarò in grado di crearmene una mia. Perchè la sofferenza e le situazioni da affrontare legate alla mia famiglia di origine potrebbero durare per sempre, o comunque per molto tempo ancora. Anzi forse ho aspettato fin troppo, forse in questi anni non sono riuscita a capire che stavo veramente “congelando ” una parte della mia vita per dedicarmi – spesso anche male – alla mia famiglia. Diciamo a mio padre, ché le mie sorelle non mi hanno mai richiesto nulla.
Non stavo aspettando il momento giusto, aspettando di avere “più” tempo per me. Stavo aspettando e basta. Un’illusione. Qualcosa che non è arrivato, e che non arriverà facilmente.
E ora M. se ne esce con “io penso che tuo padre sia uno stronzo e che tu stia sbagliando, esageri nelle tue premure, forse sono compulsive.” Una doccia gelata. Un non-detto di mesi, forse anni. Frasi sentite anche da altri, per carità, non mi giungono affatto nuove. Anzi, le ho sentite troppe volte per non sentirle come superficiali, dette con un po’ di faciloneria, da chi in realtà non si è mai trovato in una condizione simile e non riesce ad immaginarsela (mica bisogna viverle le cose, per sentirle, sennò perchè andremmo al cinema?)
“Dovresti fottertene di più, fregartene ne un po’, farti i cazzi tuoi. Vedi, come fanno le tue sorelle, metti un filtro e lascialo un po’ perdere”. Eh sì!

Il confine tra scelta e responsabilità è sottile. Le due si intersecano. Io sicuramente non ne ho la completa padronanza, ma credo di saper distinguere la complessità dalla complicazione.
Comunque, non mi voglio giustificare. Quelle parole, dette da lui (tu, quoque, Brute!), hanno un suono diverso, di sconfitta, ma anche di sfida.
E’ vero che a morte di mia madre (più conseguenze annesse) è entrata prepotentemente nella mia vita e forse ne ha fatto scempio (parola eccessiva, ma non me ne vengono altre). E’ che da quella morte ho cercato di ripartire, non solo per non soffocare, ma proprio per rinascere, per capire che tipo di persona voglio essere o diventare. E questo ha comportato scelte e responsabilità che – per carità – mica mi vanno giù tanto facilmente!
Ho sbagliato, ed esagerato, moltissimo. In ansia, premura, dispiacere, sbattimento, sollecitudine. Ma non lo rinnego, anzi, sto scoprendo alcune motivazioni anche più profonde di quanto immaginassi.
Di questo sono grata a M., perchè con la sua doccia gelata, mi spinge ad andare in fondo.

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Non riesco.

Non riesco a concentrarmi, non riesco a lavorare. Non ho voglia di rispondere alle email di lamentosi partner. non so dove sono. Non sono qui, ma non sono nemmeno rimasta a Parigi. Non so dove sono, al solito ci metto anche chi sono e cosa voglio.
Apatia, depressione, tristezza per cosa? Non riesco a capire, mi sento solo fuori fuoco, tanto per cambiare.
Mi chiedo: riesci a non essere invidiosa? Riesci a non essere inconcludente?
Sotto tutto questo c’è il bambino? Non lo so, forse sì. E’ come se stessi aspettando qualcosa, in attesa di ..nulla, questo probabilmente è il problema. Mi rimangono ancora sul groppone gli incubi fatti a Parigi?
Perchè non ho fatto – in quei giorni – un sogno non dico bello, ma almeno neutro?
Perchè tutta quella paura, casino, mamme morte, serial killer, sesso, tutto insieme?

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ancora sogni…

[21 settembre]
Sono un paio di notti, forse 3, che faccio sogni confusi ma abbastanza dolorosi. In queste ultime mattine non ho pensato valesse la pena di trascriverli, ma al terzo o quarto giorno di fila di brutti sogni, non posso continuare a sottovalutarli.
[Eh eh, divertente quando l’inconscio (o anche il sommerso) si mette ad urlare attraverso i sogni: DIAVOLO, VUOI SMETTERE DI IGNORARMI? HO UN PAIO DI COSE DA DIRTI!! ASCOLTAAAAA!]
Il pezzo di sogno più doloroso riguarda mia madre, tanto per cambiare. Eravamo nella sua camera, nella loro casa (non quella della nonna dove vivevo io) ed eravamo a letto. Era abbastanza un bel momento, anche se ero preoccupata, perchè lei era malata, ma c’era sempre qualche speranza. Invece lei mi diceva: “mi fa male qui” indicando la bocca dello stomaco. Io toccavo ed era molto dura. Lei mi diceva che era già andata a farsi vedere, e che il tumore era tornato, e questa volta era quella ultima. Quindi io sapevo che lei sarebbe morta, e oltre a cercare di contenere la solita ondata affogante di dolore, pensavo che avrei dovuto fare molte altre cose, e ne avevo paura.
Niente da dire, questo mi fotografa abbastanza, un dolore che non accenna a diminuire di intensità, solo si presenta un po’ più raramente (o sono io che cerco di non sentirlo troppo spesso).
L’altro sogno è successivo, ma non si può mai dire. Mi trovavo in macchina, città sconosciuta, dovevo seguire la macchina precedente, su cui era M. per andare in una destinazione sconosciuta. Sbagliavo, e non potevo più svoltare perchè c’era molto traffico e doppia linea continua. Volevo fare un’infrazione, ma poi pensavo che la macchina era intestata a papà ora (oh, quanto ‘sta cosa mi disturba!) e non era il caso di azzardare troppo (perchè poi? ora che sono sveglia, vedo quanto certi timori siano infondati, facile, eh?).
Comunque proseguo un po’ con la macchina, cercando un punto dove fare inversione. Mi infilo in un piazzale, ma non vedo che ci sono alcuni vasi di basilico per terra e li rovescio. Vorrei proseguire fregandome dei vasi di basilico (non li ho rotti, solo rovesciati), ma vedo che ci sono alcune persone che imprecano contro di me, sono i proprietari dei vasi di basilico e quindi mi fermo. Penso che la macchina su cui è M. si sta allontanando tantissimo e ne sono spaventata. Cerco nella mia borsa il portafoglio, per dare dei soldi a questi che mi urlano contro (per aver rovesciato del basilico? ma sono pazzi!). Resisto alla tentazione di attaccare lite, penso che mi devo sbrigare e raggiungere l’altra macchina. Frugo nella borsa (quella vintage rettangolare, che ora si è rotta…curioso!), ma il portafoglio non c’è…me l’hanno rubato! e non so quando e chi. e comunque non ho soldi da dare a ‘sti qua che urlano, e mi sono persa…
mi sembra talmente evidente la consequenzialità tra i due sogni, che non mi ci metto neppure. Però non immaginavo di sentirmi così tanto senza risorse. Capita ancora, spesso, soprattutto quando il mio padre depresso mi schiaccia con la sua incrollabile determinazione a proclamare che il mondo è una merda e che noi tutti non abbiamo speranza, ma anzi, dobbiamo rassegnarci a che la vita sprofondi ancora di più nel nulla e nell’ansia. Le pastoie, le sue, le mie. Le sue richiamano le mie, è ovvio. Io ho finito l’analisi un anno fa proprio perchè mi ero guadagnata delle risorse, che mi consentivano di camminare da sola e andarmene anzi beatamente in giro. Ma non ci sono risorse eterne, questo lo so. Certe si esauriscono. Certe – se condivise – si consumano. Certe vengono risucchiate. Certe non le sappiamo difendere…

[29 settembre]
Scrivo qui di seguito un altro sogno. Di oggi. Stupido, anche questo è vagamente ricorrente (vedi qua), quindi forse val la pena trascriverlo.
Ho sognato G.: ogni tanto faccio questi sogni alla sliding doors, come se la mia vita non avesse svoltato circa 10 anni fa ed avessi proseguito con la vita precedente. Saremmo sposati, o magari già separati. Sicuramente lo avrei tradito. Comunque: nel sogno lui ha sposato una tipa che assomiglia a Vittoria A., l’amica d’infanzia delle mie sorelle. Una nevrotica inconsapevole, precisina, rigida e incredibilmente noiosa (eccomi, sono io, ovviamente). Io e lui ci rincontravamo ed io ero incontestabilmente più affascinante, vitale, piena di spirito e di passione. Infatti lui ci provava, la cosa era molto tenera, io subivo il fascino dell’essere quella che seduce, che ha il potere, e ci baciavamo. Poi entravano in gioco le mie sorelle, la situazione non era piacevole, entravano anche in gioco altri (la sua famiglia?), c’era gente antipatica e smorfiosa. Qualcuno trattava male I. Io mi chiedevo comunque come sarebbe stata la mia vita se fossimo rimasti insieme.

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Oggi ho il vestito della mamma. Ci sto leggermente sudando dentro, e il surriscaldamento reciproco (mio e del vestito) libera dei sentori che se non sono proprio il suo odore (il vestito era lavato), quantomeno ci si avvicinano.

Strana sensazione addosso…

Sto indossando un vestito con l’odore di mia madre dentro.

Ovviamente è proprio l’effetto che speravo, se no perchè indossare un vestito che in effetti è un po’ vecchio e liso per essere portato al lavoro ?

Sì sì…a volte, secondo come mi muovo, secondo il refolo di aria che devia o meno le correnti odorose, sento l’odore di mia madre addosso.

E questo ripaga di tutto, anche del fatto di sentirmi un po’ in imbarazzo, anche se solo io so che questo era il vestito che la mamma indossava in casa d’estate, per lavare i piatti, fare le faccende quelle più domestiche. Il classico vestito sul quale asciugarsi le mani, con il quale non si ha bisogno di indossare un grembiule.

L’ha anche cucito, ha attaccato le punte posteriori del colletto, quelle alla base del collo. Le ha attaccate con due punti di un filo di colore ovviamente diverso. Quelli li ho dovuti scucire per poterlo mettere.

Mi è anche sufficientemente largo, ma è proprio quello che volevo, un vecchio vestito comodo, largo, con l’odore della mamma dentro, da indossare per l’ultimo giorno di lavoro. Per dare una fisionomia un po’ più precisa alla sottile tristezza che mi accompagna costantemente da quando lei non c’è più.

Mannaggia, riuscissi a trovare quello azzurro che lei portava in questa foto di quasi 25 anni fa…

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Today I realized that I’m not a focused person.

Being unfocused is one of the worst things that could happen to a young woman.

I’m completely unfocused about my life, family, work, feelings.

This is my point: I’m an ordinary unfocused 34 years old woman.

And I think that the time of my life in which I can accept or ignore the fact that I’m still unfocused is finished. Now I have to fix it. Maybe I’m unfocused because I do not know who I am.

I’m afraid to say that, but after 8 years of hard Freudian therapy (4 times a week !), I’m still looking for myself, I’m still waiting for prince charming (I met my own prince, I really love him, but I’m waiting for the prince charming-job, for the prince-charming-best-friend, for the prince-charming-house, etc.).

Practically I’m still confused and unfocused about work, career, getting married, having kids, and so on.

I know, I have to stop feeling sorry for myself..

But I AM sorry ! Hurrah ! Brava !

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