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Posts Tagged ‘affetti’

Sono qui, stanza inondata di sole, tea (riscaldato) in tazza, cerco di trovare ispirazione per rispondergli.
Ho davanti la scatola che contiene le lettere ed altri ricordi. Voglio legare le lettere con nastro rosso.
La scatola puzza di muffa, come tutte le cose che provengono da quella vecchia casa.
La scatola contiene anche le lettere di F., un amorino del liceo. Come fanno ad essere più numerose delle sue? perchè mai le ho messe insieme? Sono accomunate dal livello di imbarazzo che mi creavano? (non credo, ce ne sono altre molto più imbarazzanti, in altre scatole muffose).
Tolgo le lettere importanti dalla scatola muffosa e le lego con il nastro rosso. Voglio fargli prendere aria. Quando avrò il coraggio, le rileggerò.
Penso che vorrei rispondergli, non trovo le parole giuste. Mi vengono in mente le sue:
qui la vita scorre tranquilla nell’attesa della pioggia.
Ti abbraccio e ti mando mille migliaia di baci
Devo lavorarci su.
Questi ricordi fanno parte della bigger picture? La bigger picture significa anche riprendermi pezzi di vita lasciati in disparte? Credo di sì, dei pezzi di vita non si butta via niente.
Per molto tempo il suo pensiero mi ha dato quasi fastidio, rappresentava qualcosa dal quale scappare.
Ho realizzato che di fronte a lui mi sono sempre un po’ vergognata, ero preda di un pudore vergognoso.
R. era scomodo perchè mi ricordava un tradimento. Vero o fasullo, ma comunque un tradimento. Avevo sepolto quella parte di me in mezzo alle nevrosi della sopravvivenza e della quotidianità. Non credevo di farcela, non credevo di poter tenere insieme quella parte di me con le altre. Sentivo costantemente il marchio del tradimento addosso, in come ero vestita, nelle notizie che potevo dare di me. Sentivo il marchio della banalità, dello squallore dell’ordinario. La tristezza di uno spreco, di una torta bruciata, di qualcosa che poteva essere diverso, forse migliore, e non è stato.
Aldilà dell’idealizzazione di un’adolescente nei confronti del “mentore”, era proprio vero che stavo tradendo.
Stavo tradendo la bellezza che lui mi ha insegnato a riconoscere, anche in me stessa. Ora ho smesso di sentirmi una traditrice. E infatti gli ho scritto.

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Il problema, in giornate come questa, in periodi come questo (ma da quanto dura?) è l’effetto valanga.
Mi ci vuole così poco per trasformare la mia vita in un deserto! La morte del compagno di un’amica. Frustrazioni e impasse sul lavoro. Un figlio che non arriva. La famiglia complicata che complica. Tutto quello che rimandi di affrontare che incombe come una lastra di ghiaccio sopra una tettoia. Oddio, forse non è poi così poco.
Ma io so che non dipende dalle circostanze, è uno sguardo viziato. Ho lo sguardo desertificato, che desertifica. Non pregusto, non spero, non mi aspetto nulla di buono. Spero solo di evitare il peggio, ma non vedo il meglio.
Meno male che c’è il violino. Durante la lezione ho staccato un po’ la spina.
Ho voglia di vita succosa, di vita gioiosa, di quel sorriso interiore che ti viene quando la tua vita ti avvolge.
Ho voglia di quella vita che è come una bistecca sugosa, che poi ti scioglie in bocca, e butti giù un sorso di vino, e ti fai una risata. Ridere è una cosa che mi manca. Non è che non rida, è che non mi diverto.
Ma devo ricordarmi quello che ha detto Bruna: la mia vita non è un deserto, sono io che la desertifico con gli occhi. Non riesco a provare gratitudine per la mia vita, non riesco a sentirmi ricca di niente.
Telefilm come surrogati, pure friendfeed piuttosto che fare daimoku. Meno male che non tengo tequila in casa. Che in teoria avrei smesso di fumare. Fantasmi che cerco di far apparire perchè mi distraggano. Che casino. Tutto per ovviare alla mancanza di speranza. Non gioisco, non spero, mi porto sfiga da sola.
Quasi quasi mi rimetto a suonare il violino, mi sembra che funzioni. Almeno posso sperare di imbroccare almeno una nota.

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Temo serva a poco, ma non posso fare altro che pubblicare le sue foto, visto che il violino è stato rubato in provincia di Vercelli..

E considerata la visibilità del mio blog (…) è praticamente solo un gesto d’affetto e di gratitudine..

Quel violino è magico, spero possa essere ritrovato…!

Questa è l’email di Sergio:

>Ciao a tutti ,una pessima notizia..mi hanno rubato il violino!!
>Oltre al valore materiale appartiene alla mia famiglia da 4 generazioni,vi prego di far girare queste foto a >musici, liutai, rigattieri,occhi aperti a mercatini ,baloon, etc.
>Violino di fabbrica probabilmente ceco o est europa primi 900,verniciatura inusuale,fondo scuro con >semicerchi chiari ai lati della tavola,inserto in osso nel ponticello sotto il MI,piccola crepa sulla “f”sinistra..
>Custodia orly blu scuro vecchiotta ,2 archi: 1 Bazin(ma nn si vede la firma)con avvolgimento in pelle di >serpente color marrone,e altro arco nero in fibra di carbonio.
>Rubato a cigliano (vercelli)il 23-8.
>Veramente ancora grazie e speriamo di beccarlo..
>Sergio Caputo

VIOLINO RUBATO ! WANTED !

VIOLINO RUBATO ! WANTED !

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Oggi ho il vestito della mamma. Ci sto leggermente sudando dentro, e il surriscaldamento reciproco (mio e del vestito) libera dei sentori che se non sono proprio il suo odore (il vestito era lavato), quantomeno ci si avvicinano.

Strana sensazione addosso…

Sto indossando un vestito con l’odore di mia madre dentro.

Ovviamente è proprio l’effetto che speravo, se no perchè indossare un vestito che in effetti è un po’ vecchio e liso per essere portato al lavoro ?

Sì sì…a volte, secondo come mi muovo, secondo il refolo di aria che devia o meno le correnti odorose, sento l’odore di mia madre addosso.

E questo ripaga di tutto, anche del fatto di sentirmi un po’ in imbarazzo, anche se solo io so che questo era il vestito che la mamma indossava in casa d’estate, per lavare i piatti, fare le faccende quelle più domestiche. Il classico vestito sul quale asciugarsi le mani, con il quale non si ha bisogno di indossare un grembiule.

L’ha anche cucito, ha attaccato le punte posteriori del colletto, quelle alla base del collo. Le ha attaccate con due punti di un filo di colore ovviamente diverso. Quelli li ho dovuti scucire per poterlo mettere.

Mi è anche sufficientemente largo, ma è proprio quello che volevo, un vecchio vestito comodo, largo, con l’odore della mamma dentro, da indossare per l’ultimo giorno di lavoro. Per dare una fisionomia un po’ più precisa alla sottile tristezza che mi accompagna costantemente da quando lei non c’è più.

Mannaggia, riuscissi a trovare quello azzurro che lei portava in questa foto di quasi 25 anni fa…

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La quarta sorella

Oggi si è laureata Katia (nella foto è quella piccola, quella più grande sono io).

Questa bimba dolcissima è cresciuta, è diventata una splendida ragazza, intelligente, sicura di sè, simpatica e sexy. Io ieri mi sentivo una sorella maggiore, o forse una vecchia zia, commossa ed emozionata fino alle lacrime. Eppure non è che la laurea abbia un valore così alto, per me. Ma il fatto di vederla lì, in piedi, elegantissima, spiegare con tranquillità delle cose per me incomprensibili, con quella sua voce così particolare, con la cadenza delle nostre parti e l’erre moscia di famiglia, vederla fuori dal contesto solito “di cuginetta”, vederla come una donna, che ha fatto la sua strada, e che ne farà ancora tantissima, mi ha veramente emozionata. Mi commuovo sempre ad assistere a momenti di successo, quelli in cui qualcuno – tanto più se amato – raggiunge un obbiettivo per il quale ha lavorato, realizza una qualisasi cosa e viene festeggiato per questo. Non vorrei avere qualche sindrome americana, o forse sono gli ormoni della tiroide chissà, comunque il compimento delle proprie fatiche, la realizzazione nelle proprie, personali, piccole o grandi cose mi sembra possa essere un valore a prescindere.

Ahi, tempi duri per noi licenziati…

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