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Palla al centro

Non voglio dimenticare quello che è stato detto oggi.
Aldilà della relazione con papà, della difficoltà soggettive o concrete (e non solo frutto della mia incapacità di affrontarle), il fulcro della mia sofferenza attuale è l’immagine interna di una mamma malata. Con una figlia forte, che per reggerla si spezza anche la schiena (e si frattura 2 costole), ma con un marito che cade. E comunque lei è una mamma malata. e che, voglio dare un figlio ad una mamma malata sapendo già che poi non potrà curarlo a dovere?
Questo è veramente il succo della mia sofferenza degli ultimi mesi, soprattutto questo è alla radice della difficoltà di credere veramente al mio progetto di famiglia. Credere che sia possibile, che non sia solo l’anticamera di avvenimenti ancora più spaventosi.
Io forse non dubito della mia capacità di creare o “tenere” una mia famiglia futura. Io proprio penso che non ci sia altro che una mamma malata, che per tutta la vita ho sentito come instabile e sofferente, e che poi è morta, lasciandomi sola a reggere il suo peso. Questa è la solitudine che ho dentro.
E forse in questi mesi ho pensato che sforzarmi per risolvere la relazione difficile con papà potesse essere un antidoto alla mamma malata. Be’ mi sbagliavo. Non devo rafforzare la figlia, devo rafforzare la madre.
Le ho detto che ora ho un’altra famiglia, rispetto a quella di prima. L’assetto è cambiato, ci sono nuovi dis-equilibri, etc. etc.
Lei mi ha corretto: non è vero. La mia famiglia è sempre la stessa. Solo che ora la mamma malata ce l’ho dentro.
Non so se era preoccupazione o sollecitudine, ma sono contenta mi abbia proposto di vederci tra un mese e non fra due.
Le lacrime di sollievo che ho avuto, quando sono uscita. Finalmente capire e sentirmi capita, dopo questi mesi – e soprattutto le ultime settimane – di solitudine e silenzio, con la sofferenza quotidiana al solo pensare a famiglia & c., sentendomi sola e di non dover pesare su  M., e la mia incapacità a fornirmene un reale sostegno da sola.

Per forza, stavo sbagliando direzione.
Non è nella direzione “padre pesante e problematico”, ma in quella “madre malata e pure morta” che devo lavorare.

Bella scoperta, eh?

L’Araba Fenice

Il desiderio/progetto di fare un figlio ha funzionato come detonatore. Lo sguardo sulle cose della mia vita è cambiato.
Non posso continuare a pensare che finchè non alleggerisco la mia vita dalle preoccupazioni che derivano dalla mia famiglia, allora non sarò in grado di crearmene una mia. Perchè la sofferenza e le situazioni da affrontare legate alla mia famiglia di origine potrebbero durare per sempre, o comunque per molto tempo ancora. Anzi forse ho aspettato fin troppo, forse in questi anni non sono riuscita a capire che stavo veramente “congelando ” una parte della mia vita per dedicarmi – spesso anche male – alla mia famiglia. Diciamo a mio padre, ché le mie sorelle non mi hanno mai richiesto nulla.
Non stavo aspettando il momento giusto, aspettando di avere “più” tempo per me. Stavo aspettando e basta. Un’illusione. Qualcosa che non è arrivato, e che non arriverà facilmente.
E ora M. se ne esce con “io penso che tuo padre sia uno stronzo e che tu stia sbagliando, esageri nelle tue premure, forse sono compulsive.” Una doccia gelata. Un non-detto di mesi, forse anni. Frasi sentite anche da altri, per carità, non mi giungono affatto nuove. Anzi, le ho sentite troppe volte per non sentirle come superficiali, dette con un po’ di faciloneria, da chi in realtà non si è mai trovato in una condizione simile e non riesce ad immaginarsela (mica bisogna viverle le cose, per sentirle, sennò perchè andremmo al cinema?)
“Dovresti fottertene di più, fregartene ne un po’, farti i cazzi tuoi. Vedi, come fanno le tue sorelle, metti un filtro e lascialo un po’ perdere”. Eh sì!

Il confine tra scelta e responsabilità è sottile. Le due si intersecano. Io sicuramente non ne ho la completa padronanza, ma credo di saper distinguere la complessità dalla complicazione.
Comunque, non mi voglio giustificare. Quelle parole, dette da lui (tu, quoque, Brute!), hanno un suono diverso, di sconfitta, ma anche di sfida.
E’ vero che a morte di mia madre (più conseguenze annesse) è entrata prepotentemente nella mia vita e forse ne ha fatto scempio (parola eccessiva, ma non me ne vengono altre). E’ che da quella morte ho cercato di ripartire, non solo per non soffocare, ma proprio per rinascere, per capire che tipo di persona voglio essere o diventare. E questo ha comportato scelte e responsabilità che – per carità – mica mi vanno giù tanto facilmente!
Ho sbagliato, ed esagerato, moltissimo. In ansia, premura, dispiacere, sbattimento, sollecitudine. Ma non lo rinnego, anzi, sto scoprendo alcune motivazioni anche più profonde di quanto immaginassi.
Di questo sono grata a M., perchè con la sua doccia gelata, mi spinge ad andare in fondo.

Non riesco.

Non riesco a concentrarmi, non riesco a lavorare. Non ho voglia di rispondere alle email di lamentosi partner. non so dove sono. Non sono qui, ma non sono nemmeno rimasta a Parigi. Non so dove sono, al solito ci metto anche chi sono e cosa voglio.
Apatia, depressione, tristezza per cosa? Non riesco a capire, mi sento solo fuori fuoco, tanto per cambiare.
Mi chiedo: riesci a non essere invidiosa? Riesci a non essere inconcludente?
Sotto tutto questo c’è il bambino? Non lo so, forse sì. E’ come se stessi aspettando qualcosa, in attesa di ..nulla, questo probabilmente è il problema. Mi rimangono ancora sul groppone gli incubi fatti a Parigi?
Perchè non ho fatto – in quei giorni – un sogno non dico bello, ma almeno neutro?
Perchè tutta quella paura, casino, mamme morte, serial killer, sesso, tutto insieme?

ancora sogni…

[21 settembre]
Sono un paio di notti, forse 3, che faccio sogni confusi ma abbastanza dolorosi. In queste ultime mattine non ho pensato valesse la pena di trascriverli, ma al terzo o quarto giorno di fila di brutti sogni, non posso continuare a sottovalutarli.
[Eh eh, divertente quando l’inconscio (o anche il sommerso) si mette ad urlare attraverso i sogni: DIAVOLO, VUOI SMETTERE DI IGNORARMI? HO UN PAIO DI COSE DA DIRTI!! ASCOLTAAAAA!]
Il pezzo di sogno più doloroso riguarda mia madre, tanto per cambiare. Eravamo nella sua camera, nella loro casa (non quella della nonna dove vivevo io) ed eravamo a letto. Era abbastanza un bel momento, anche se ero preoccupata, perchè lei era malata, ma c’era sempre qualche speranza. Invece lei mi diceva: “mi fa male qui” indicando la bocca dello stomaco. Io toccavo ed era molto dura. Lei mi diceva che era già andata a farsi vedere, e che il tumore era tornato, e questa volta era quella ultima. Quindi io sapevo che lei sarebbe morta, e oltre a cercare di contenere la solita ondata affogante di dolore, pensavo che avrei dovuto fare molte altre cose, e ne avevo paura.
Niente da dire, questo mi fotografa abbastanza, un dolore che non accenna a diminuire di intensità, solo si presenta un po’ più raramente (o sono io che cerco di non sentirlo troppo spesso).
L’altro sogno è successivo, ma non si può mai dire. Mi trovavo in macchina, città sconosciuta, dovevo seguire la macchina precedente, su cui era M. per andare in una destinazione sconosciuta. Sbagliavo, e non potevo più svoltare perchè c’era molto traffico e doppia linea continua. Volevo fare un’infrazione, ma poi pensavo che la macchina era intestata a papà ora (oh, quanto ‘sta cosa mi disturba!) e non era il caso di azzardare troppo (perchè poi? ora che sono sveglia, vedo quanto certi timori siano infondati, facile, eh?).
Comunque proseguo un po’ con la macchina, cercando un punto dove fare inversione. Mi infilo in un piazzale, ma non vedo che ci sono alcuni vasi di basilico per terra e li rovescio. Vorrei proseguire fregandome dei vasi di basilico (non li ho rotti, solo rovesciati), ma vedo che ci sono alcune persone che imprecano contro di me, sono i proprietari dei vasi di basilico e quindi mi fermo. Penso che la macchina su cui è M. si sta allontanando tantissimo e ne sono spaventata. Cerco nella mia borsa il portafoglio, per dare dei soldi a questi che mi urlano contro (per aver rovesciato del basilico? ma sono pazzi!). Resisto alla tentazione di attaccare lite, penso che mi devo sbrigare e raggiungere l’altra macchina. Frugo nella borsa (quella vintage rettangolare, che ora si è rotta…curioso!), ma il portafoglio non c’è…me l’hanno rubato! e non so quando e chi. e comunque non ho soldi da dare a ‘sti qua che urlano, e mi sono persa…
mi sembra talmente evidente la consequenzialità tra i due sogni, che non mi ci metto neppure. Però non immaginavo di sentirmi così tanto senza risorse. Capita ancora, spesso, soprattutto quando il mio padre depresso mi schiaccia con la sua incrollabile determinazione a proclamare che il mondo è una merda e che noi tutti non abbiamo speranza, ma anzi, dobbiamo rassegnarci a che la vita sprofondi ancora di più nel nulla e nell’ansia. Le pastoie, le sue, le mie. Le sue richiamano le mie, è ovvio. Io ho finito l’analisi un anno fa proprio perchè mi ero guadagnata delle risorse, che mi consentivano di camminare da sola e andarmene anzi beatamente in giro. Ma non ci sono risorse eterne, questo lo so. Certe si esauriscono. Certe – se condivise – si consumano. Certe vengono risucchiate. Certe non le sappiamo difendere…

[29 settembre]
Scrivo qui di seguito un altro sogno. Di oggi. Stupido, anche questo è vagamente ricorrente (vedi qua), quindi forse val la pena trascriverlo.
Ho sognato G.: ogni tanto faccio questi sogni alla sliding doors, come se la mia vita non avesse svoltato circa 10 anni fa ed avessi proseguito con la vita precedente. Saremmo sposati, o magari già separati. Sicuramente lo avrei tradito. Comunque: nel sogno lui ha sposato una tipa che assomiglia a Vittoria A., l’amica d’infanzia delle mie sorelle. Una nevrotica inconsapevole, precisina, rigida e incredibilmente noiosa (eccomi, sono io, ovviamente). Io e lui ci rincontravamo ed io ero incontestabilmente più affascinante, vitale, piena di spirito e di passione. Infatti lui ci provava, la cosa era molto tenera, io subivo il fascino dell’essere quella che seduce, che ha il potere, e ci baciavamo. Poi entravano in gioco le mie sorelle, la situazione non era piacevole, entravano anche in gioco altri (la sua famiglia?), c’era gente antipatica e smorfiosa. Qualcuno trattava male I. Io mi chiedevo comunque come sarebbe stata la mia vita se fossimo rimasti insieme.

Crappy Family

Riuscirà la nostra eroina a non farsi costantemente condizionare dai pensieri ansiosi e dalle preoccupazioni sulla sua famiglia di origine? riuscirà la nostra eroina a costruirsene una sua di famiglia, superando la costante ammorbante sfiducia panicante che l’idea stessa di famiglia le comunica?
I pensieri si fanno ossessivi, invadenti. Penso a mio padre, a mia sorella. Poi alla causa con la zia. Alla casa che va sempre più giù. Alle liti con i vicini che verranno. Ai dottori che sono sempre così lontani e inaffidabili (sarà per questo che invece io nutro una segreta passione/attrazione verso tutto quello che è medicina?).
la mia identità attuale si è formata/definita solo per opposizione e contrasto con la mia famiglia?

Sono reduce dalla mia unica settimana di vacanza, insieme a M., una settimana musicale. In realtà stancante dal punto di vista fisico. Ma assolutamente unica e preziosa dal punto di vista “esistenziale”. Ho “sentito” talmente tanto – emozioni, ricordi, sentimenti di ogni tipo – da sentirmene drogata.
Ora sono confusa, stento a ritrovare la concentrazione per lavorare, devo mettere a fuoco. Mettere a fuoco è sempre difficile, per me. Guardo da troppe parti, ascolto troppe voci, alla fine mi perdo.
Ritornare a fare musica, in quel posto, con quelle persone, è stato veramente speciale. 19 anni dalla prima volta, 12-13 dall’ultima. Non credevo che il tempo potesse passare così, invano, e che fosse possibile ritrovare identiche emozioni, dinamiche, sguardi, persino paesaggi o odori. Ero costantemente commossa.
Durante i primi giorni mi chiedevo come avrei risolto, visto che anche solo provare in oratorio mi commuoveva fino alle lacrime. Il paese pure. Continuavo a girare per vicoli e vicoletti, volevo vedere/rivedere tutto, come per passare a salutare ogni pietra, ogni scorcio. Non pensavo di avere così tanti ricordi, e che fossero così preziosi, e così attuali. Ho avuto anche momenti di difficoltà, ho faticato ad arginare, a rimanere me stessa e a non farmi trascinare dove ora non posso più andare. Non ho più 19 anni, ho passato troppo tempo a lottare con la mia oscurità, non sono più autodistruttiva. Ma da alcune cose/persone ho girato un po’ alla larga, non potevo permettermi di ritrovarmi con altri fantasmi. Per quest’anno ho già dato.
Tutti sentimenti ed emozioni inincasellabili, ad ondate mi travolgevano. Letteralmente. Volevo ragionarci su, ma non sono riuscita a farlo, alla fine me li sono goduti e basta. Giravo per il paese e pensavo “qui”, ” e qui…”, “e quando”. E avevo tutto davanti agli occhi, nitido e preciso fino allo sfinimento.
E ho “risentito” i miei 16-21 anni. Non li ho rivissuti (il tempo passato mi è caro, non tornerei indietro), o rivisti (non ho “fatto un film”, non tutti i ricordi sono belli..), me li sono proprio risentiti addosso. come una sciarpa o un grosso scialle caldo in cui mi sono stretta. E li ho anche salutati, forse. Cioè, ho passato troppo tempo a guardare indietro, non voglio essere nostalgica del nulla, voglio solo avere e sentirmi addosso tutto quello che ho vissuto, non voglio abbandonare nessun pezzo di me, nessun pensiero o ricordo, nemmeno un unghia o un bacio dato di straforo.
Tutto quello che sono, che sono stata e che sarò, lo voglio e mi appartiene.
Questa settimana ho rivisto un pezzo importante, che avevo archiviato come “rari brevi pezzi sparsi di spensieratezza adolescenziale” come se fossero irripetibili, puri ricordi. Invece no, non sono episodi, momenti, periodi, sono io. Le persone possono esserci (eccome) oppure no. Possono essercene di nuove. Le cose possono cambiare o rimanere più o meno simili. Ho sentito pienamente come le emozioni invece possono rimanere inalterate, possono rivivere anche in condizioni differenti. E’ un po’ la storia del “se ami non muori”, no?
Ora lo so: le fate esistono. I supereroi sono tra noi, non c’è bisogno di scendere così tanto a patti con i propri sogni.
Voglio, come sempre, essere più libera di sentire e di sentirmi. Dopo questa settimana, lo so ancora di più.

We Could Be Heroes

Mi sto concentrando per accettare il fatto che devo smazzarmi un problema piuttosto grosso che ho con la mia mente. Ho creato un fantasma, l’ho alimentato e curato amorevolmente, me ne sono innamorata, l’ho coltivato e sponsorizzato. Ora ha preso potere e campo, è quasi completamente padrone della mia mente. Erano anni che non mi succedeva, mi sono ritrovata a fantasticare continuamente, creando vere e proprie fantasie, attingendo a ricordi, suggestioni, persone e creando le mie personali versioni narcisistiche del reale, in cui succedono cose irreali semplicemente perchè frutto del nulla.
Mi sono sentita malata, mi sono sentita in pericolo. Devo fare i conti con questo fantasticare nel posto in cui questi conti vanno fatti, cioè nella mia mente. Non altrove, non nella realtà.
Il sogno è mio, so che ricondurre la mia mente alla realtà mi lascerà vedova e orfana, come sempre. Ma tanto lo sono comunque.

Desiderio

Ho iniziato a leggere Bauman, consumo, dunque sono. Fa riflettere sul desiderio. Quanto desideriamo essere oggetti di desiderio.
Sentirmi qualcosa di desiderato, da parte di qualcuno, è diventato un bisogno. Per non scomparire. Perchè i desideri sono fatti della stessa materia dei sogni, e delle fiabe. E sono un antidoto al grigiore, allo svuotamento. All’appiattimento. e alla morte.
Il desiderio è l’opposto della morte. Forse io ho paura di morire, morire per quella che sono stata finora, quella che ho imparato a conoscere, e mi ci sono voluti 35 anni. Forse ora che penso ad un figlio, penso ad un’altra fase o dimensione della mia vita, ora che ho finito l’analisi, forse ho avuto paura di morire. E il fatto di diventare desiderante e desiderata è stata un’operazione salvifica, una specie di catarsi?

Mi viene da scrivere, in effetti oggi non faccio altro che scrivere in maniera frenetica, scrivere di nulla. Non ho nulla da dire, ho la testa piena di nulla. Scrivo per galleggiare. Per non smettere di respirare. Perchè non so che altro fare, non mi riesce di staccarmi dal computer, e se non scrivo finisce che mi metto a pensare intensamente a quello a cui non dovrei pensare.
Sto cercando una strategia per soffrire meno, o per non ricominciare a fantasticare.
Fantasticare allevia la sofferenza, ma scava la fossa.
Se lascio che la mia mente trovi sollievo e rifugio solo nelle fantasie, sono fritta.
Ieri dovevo stare lontana dalle finestre. Oggi forse ancora, è meglio che stia lontana dalla finestra. Questo è un pensiero orribile? L’unico modo perchè il mio cervello taccia e smetta di pensare. Dormire non serve, anzi il dormiveglia è una tortura perchè allora sì che i pensieri sono liberi e vanno vanno vanno. Bere funziona abbastanza, se non che tira fuori la rabbia e poi non so dove metterla. Le sigarette sono consolatorie, ma un placebo. Durano poco. Non trovo pace. Troppi giri di giostra nell’ultimo periodo. L’idea di essere respinta da quello che la mia mente ha partorito da sè mi rende furiosa. Non lo accetto. Io ho creato lo scenario e poi ne sono rimasta dapprima schiacciata, poi esclusa.

Emergo (forse non ancora) dall’ennesima giornata (pomeriggio) fallimentare passata a rincorrere illusioni, fantasie e corollario di inevitabili delusioni. Giornata difficilissima, per la seconda metà. Devo ringraziare E. e F., sono venute a recitare da me, provvidenziali. Loro e l’ora di daimoku. Prima che arrivassero ho avuto un piccolo crollo. Tutto alimentato dalla mia mente. Che fa e disfa. Costruisce castelli in aria, scenari, piccoli intrattenimenti ad uso e consumo di una mente turbata, affatto innocenti. Che poi mi si ritorcono contro, matematico. Come ieri.
Però, mannaggia, possibile che non riesca ad uscirne? Essere così fragile emotivamente, in balia di demoni mascherati da sentimenti (o viceversa?), mi suona strano, lo trovo mortificante. I risultati sono concretamente un po’ umilianti, perchè le giornate scorrono velocemente, dolorosissime e inconcludenti, senza che io riesca a opporre nessun pensiero veramente alternativo. Non riesco a riacchiapparmi. E’ come se fossi fuori di me. Altra. Cioè, forse sono proprio fuori. Altro che bigger picture. al momento non vado più in là nel mio naso.Mi crogiolo di istinti “bassi” (animalità?). Non padrona della mia mente. Schiava di un illusione, di un vizio, di un giocattolo fantasma. Per il quale sono disposta ad uccidere (simbolicamente?) intere parti di me e della mia storia. Che mando beatamente a quel paese, facendomi beffe di loro, e ritornando ragazzina, bambina, immatura, indifesa, indisciplinata, sola.